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Cose russe -Quinta ed ultima parte -FLUCTUAT NEC MERGITUR by maxjan28
12 Maggio 2013, 19:39
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‘Non sarò breve, perché non rientra nella mia natura’ disse un giorno un uomo al telefono quando col telefono mi procuravo dei soldi che quindicinalmente finivano al pub. ‘Quei pazzi mi hanno pagato ancora’ e i soldi finivano. Al pub, l’ho detto!  Natura stessa dei soldi, liquida, se ne volete sapere di più leggetevi Simmel, io non ne ho che un ricordo un po’ tendenzioso, roba di ‘sterco del demonio’ e pensieri relativi.

 

Fatte le premesse spostiamoci nello spazio del racconto, irto di difficoltà, ma da attraversare, quasi in apnea.

 

Eravamo rimasti che era venerdì sera e che il Timballo ci aveva gentilmente lasciato sotto casa mia.

 

Eravamo rimasti che sinceramente avrei preferito che a desinare ci fosse Fisarmonichetta, ma tant’è, avevo con me Ierofania, something to talk about e appunto parliamone, anche se la notizia non fa più notizia.

 

Insomma mi improvviso cuciniere. Io che mai, che no, che ‘che palle cucinare’, mi dipingo le vesti e mi incappello da chef e rendo mansueti i miei fornelli, quasi fossi incantatore di scimmie, quasi fossi credibile. Nel fumo di olio che frigge in padella se ne vanno tutte le paure, il fornello, anche in uno spazio aperto sa essere trincea, luogo di difesa e di attacco; costantemente comincio, saltello con la zampa buona, rendo la cucina un ring inaccessibile a lei. Lei che siede molto più tranquilla di quanto avessi mai potuto immaginare, quasi maneggiasse da sempre fettine di prosciutto crudo, salame locale, formaggio col tartufo e diavolerie che avevo disseminato sulla tavola come fossero antipasto. Nel mentre il vino. Rosso, lo vedi, Montepulciano d’Abruzzo che mogli e buoi dei paesi tuoi è un detto sempre attuale, e se c’è qualcosa su cui non ci si deve sbagliare nei giorni nostri è la scelta del vino. Soprattutto per te stesso. Vuoi mettere se prendi un vino frocio, prima di tutto ci rimetti tu.

 

Pieni i bicchieri, si brinda. Hic et nunc. Faccio un attimo mente locale. Mi guardo attorno, vie di fuga non ce ne sono. Si gioca. Fluido il parlare, a volte le barriere linguistiche si mettono in mezzo, inesorabili come barriere frangiflutti. Penso a quel che sono, quel che sono stato quel che sarò. Poi scompare tutto in un rutto fatto di nascosto. E sono solo all’oggi, all’istante, al momento.

 

Scopro che dietro un po’ di trucco, delle gambe autostradali, tacchi almeno tangenziali, c’è della simpatia e della semplicità. Mangia il formaggio, mangia come non l’avrei ritenuta capace. Mi diletto in giochi di parole, racconti di viaggi, evocazioni del patagonico, il lontano misterioso, che a volte dove sei ti sta stretto, soprattutto se trattasi di cittadina russa industriale e insomma, ricordando anche Chautebriand, faccio tappa a Pescara, Larino che –che ci devi fare con internet-  nelle parole sta il vero viaggio di sensazioni, odori, entusiasmi, soprattutto entusiasmi; che sono contagiosi e quando poi ti brillano gli occhi nel raccontare appari pure tanto convincente. La casa è un campo di battaglia,  i fornelli la mia trincea, il termosifone – sollievo di un piovoso spaventoso – la sua.

 

L’agone va che è una meraviglia. Nei racconti omerici e in tant’altra letteratura cavalleresca – che mai a dimenticare i nostri padri indoeuropei – dopo la battaglia i valorosi guerrieri duellavano anche in parole, da qui il mito. Raccontare. Muovo la spada dove posso, nello spazio e nel nostro tempo, butto la pasta, giro il sugo, pomodorini pachino e semplice pancetta, niente di cui Vissani andrebbe orgoglioso, ma Maria Primate, lascatemelo dire, si.

 

Cucino  e non penso a tutta quella vicenda che ha scombussolato l’azienda tutta  e il mio non pensare a Gassosi e relativi complotti, a Aspirini e Alcantari che non so dove stanno ma so sicuramente cosa stanno facendo, a tuta una sequela di gente che è stata coinvolta dall’onda lunga, a nessuno penso io e mi concentro sull’asse passante tra due punti e metamorfizzatasi in sugo e pancetta.

 

Presto che si mangia.

 

Il seguito è tutto un po’ normale, la classica storia di lui che attacca e lei che difende o qualcosa di simile, l’avrete vissuta centinaia di volte, l’avrete vissuta col cuore che batte un po’, ma manco tanto, e lo sguardo che esprime gocce di felicità. Bene. Arriva il momento del commiato. Dove cazzo vai, penso, non ho completato l’opera.

 

Quando eravamo bambini, cioè fino all’estate scorsa, capitava spesso di stare sopra rocce alte su pezzi di mare, fiume, lago  a meditare ad aspettare il momento opportuno per gettarci e vivere il brivido dei coglioni nel soave volo con atterraggio liquido, quattro, cinque metri di volo. Hai sempre un po’ paura. Per quanto ti pavoneggi nel tuo inimitabile coraggio, nel fare il tipo che si butta senza pensarci neanche su – che chissà quante di peggio ne ho viste – hai sempre un po’ paura, dicevo.

 

Quando baci la bocca sei tu. Ti butti come dagli scogli altissimi, ti butti e speri di trovare un mare ad accoglierti trionfante. E invece. In tanta perfezione stilistica, preparazione, eleganze, di tanta beltà che potevi prendere in questo bacio imposto, rubato, prendi proprio l’angolo, l’unico angolo del labbro superiore che aveva tralasciato di depilarsi e invece che morbide labbra incontri questo spino che ti ferisce come fosse spino a difender rosa – e forse lo è – e ti ricordi di come per mesi hai tampinato un’altra tipa e questa proprio quando ha deciso di popolare un letto con te ha tralasciato di depilarsi parte delle gambe e insomma in qualche modo perdonatemi questo sfogo senza stile alcuno, ma il problema della depilazione femminile esiste e qualcuno dovrà pure trovare il coraggio di parlarne un giorno, no?

 

Detto in parole povere, io ci provo a baciarla, od ora o mai più, Ierofania sarebbe destinata a partire il giorno successivo – ma poi vulcani, aerei e tanto altro ancora che poi saprete – e lei gentilmente declina e io mica potevo fare niente di più che ovviare e continuare a sorridere che per sorridere ci sono sempre N ragioni.

 

E qui, qui cari amici che avete letto queste vicende, qui mi accommiato da voi.

 

Il pettegolezzo, i mezzucci, le rose, l’amicizia e l’amore ho cantato in queste cinque puntate smosse dal vento e dalla pioggia di un terribile aprile del 2010.

Adesso, da cavalier romantico vi saluto, carissimi.


3 commenti so far
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Le ragazze subodorano lontano un miglio se l’affondo è fatto con convinzione o come ripiego. E infatti Ierofania è scappata, urlando, tra le braccia di Gassoso. Ben ti sta.

Commento di Vecchio Faggio

ma alla fine si è ingarrata con savdini?

Commento di vendotto

Russia dai tempi del Liceo…tutto quadra.

Commento di Cekketto




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